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FABRIZIO
BIGOTTI
“Sapienza” - Università di Roma
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TEORIE
DELLA MENTE E DELLA MATERIA
La
medicina galenica ed i suoi esegeti rinascimentali:
all’origine dell’organicismo moderno |

Figura 1
GIROLAMO FABRICI D’ACQUAPENDENTE
Tabulae
pictae
Anatomia dei muscoli del capo e del collo
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1. Medici antichi, teorie moderne
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Il merito storico di aver impostato i rapporti tra la mente, il
pensiero astratto o comunque la parte raziocinante dell’uomo, e
la fisiologia, intesa come studio delle funzioni e qualità del
cervello nel suo complesso, è da attribuirsi con ogni
probabilità al grande medico greco Galeno di Pergamo, vissuto tra
il 129/130 ed il 200 d. C., durante il dominio dell’impero
romano. Sebbene poco noto, infatti, è proprio Galeno che in uno
scritto intitolato Quod animi mores corporis temperamenta
sequantur (“Che le passioni dell’anima seguono i temperamenti
dei corpi”) imposta un metodo conosciuto, dall’Ottocento ad
oggi, con il nome di organicismo, metodo che ritiene non solo
teoricamente possibile ma anche scientificamente valida una
riduzione delle proprietà cosiddette ‘mentali’ al sostrato
organico da cui derivano.
Galeno, inoltre, è stato il primo a corroborare questa sua
visione organicista con una serie di esperimenti anatomici che un
grande fisiologo e scienziato come Claude Bernard ha chiamato
esperimenti “con distruzione” (BERNARD, 1865, pp. 17, 174;
GRMEK, 1996, p. 121).
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Tali esperimenti consistono, in altre parole, nella mutilazione
progressiva di parti dell’encefalo e/o della colonna vertebrale
per studiare gli effetti sull’animale vivo (GRMEK, 1996, p.
109). Galeno, in effetti, ricorreva volentieri alla vivisezione,
essendogli preclusa, a differenza dei suoi precursori Erofilo ed
Erasistrato, la dissezione del cadavere umano (Fig. 2). In
compenso, però, egli dichiara di aver sezionato feti abortiti e
grandi scimmie, oltre a raccomandare la dissezione umana
ogniqualvolta ciò fosse stato possibile. |
Benché Galeno ritenesse l’anatomia
l’unico criterio realmente scientifico in questioni di medicina
– disdegnando le dispute filosofiche – egli era tuttavia
consapevole del fatto che non tutto l’animale, e men che meno l’uomo,
poteva essere descritto col semplice ausilio della dissezione
anatomica, occorreva per ciò una teoria fisica di supporto che
indagasse le cause, della salute come della malattia, e
permettesse un quadro di riferimento per collegare i sintomi e le
malattie alle relative prognosi.
Come “teoria degli umori” (sangue, flegma o pituita, bile
gialla, bile nera o melancolia) egli la prese in parte da
Ippocrate, come teoria dei “temperamenti” (caldo, freddo,
umido, secco, Fig.
3),invece, Galeno rielaborò personalmente un sistema già definito nelle
sue linee essenziali da Aristotele nel De generatione et
corruptione, tentando tuttavia, a differenza di quest’ultimo,
una separazione teorica delle qualità della materia dagli
elementi primordiali che la componevano (acqua, aria, terra e
fuoco).
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Sebbene
possa apparire un po’ sofisticata, non si tratta – come
ritenne nell’ottocento Cuvier e, più recentemente, Manzoni
(MANZONI, 2007, p. 34) –, di una teoria inventata o
completamente ‘a-priori’. Le sue basi empiriche, legate
comunque alla teoria del calore fetale o innato (symphýton
thermón, cfr. SIEGEL, 1963, p. 167 e ssg.) del quale i
temperamenti non rappresentano che differenti tipologie, possono,
in effetti, essere ricondotte ad almeno quattro ordini di ragioni:
a) il calore, spontaneamente prodotto da molti
animali – e dagli omeotermi oggetto delle vivisezioni galeniche,
in particolare – distingue quest’ultimi dagli oggetti fisici o
comunque inanimati;
b) se l’ipotermia può essere ricondotta ad
un mancato afflusso di sangue all’organo o alla parte interessate, allora,
data la distinzione aristotelica degli animali in sanguinei/non sanguinei, la
correlazione sangue-calore (nei suoi vari temperamenti)-vita si fa stretta ed
empiricamente riscontrabile;
c) la maggior parte delle reazioni chimiche –
cui gli antichi davano il nome di “alterazioni sostanziali” – sono di
natura esotermica, ovvero generano calore e quindi, per conversione, il calore
può esserne indicato come causa;
d) dato quanto sopra, se l’origine della vita
– ovvero il suo principio – può essere indicata in qualcosa di
semplice, allora l’organismo umano sembra comportarsi come un
grande alambicco che, a partire dal calore fetale o innato,
catalizza l’intera gamma delle reazioni chimiche (dette perciò
concoctiones).
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Queste, a loro volta, determinano i diversi gradi e
stati della materia (temperamenti appunto), dal più caldo al meno
caldo, dal più secco al più umido. In tal modo, a partire dall’organo
più caldo, il cuore, sino a quello più freddo, il cervello,
questo alambicco antropomorfo (Fig. 4) trasforma al suo interno l’alimento
in sostanza nutriente ed, una volta concluso il ciclo di
distillazione, espelle i suoi residui (detti superfluitates),
attraverso il naso, in forma di muco o flegma (GALENO, 1549, p.
139; DORN, 1577, p. 137).
L’alambicco rappresentava così
un modello unitario di rappresentazione fisiologica del corpo, dal
momento che freddezza, siccità, umidità o calore di una certa
parte del corpo potevano essere riprodotti
appunto mediante un processo alchemico di distillazione
(distillatio). Non
va dimenticato, infine, che la stessa natura delle sostanze
organiche, e non, poteva essere dedotta quasi esclusivamente
mediante la cozione (in greco pépsis), unico processo conosciuto
agli antichi per decomporre una sostanza complessa negli elementi
primi di cui essa era composta. Un buon esempio ne è quello che
Avicenna mette in atto per dimostrare la composizione della
sostanza cerebrale, la cui materia era stata definita da
Aristotele fredda ed umida, ed il funzionamento paragonato a
quello di un refrigeratore (MANZONI, 2007).
Quella dei temperamenti era, in ogni caso, la teoria che, in linea
di principio, meno di altre si distaccava dall’approccio
anatomico, dal momento che essa rappresentava lo stato della
materia al momento del contatto con la superficie volare della
mano, ovvero con la manipolazione operata dal medico sul paziente.
A questa teoria ed alle prove sperimentali contenute nelle sue due
grandi opere il De usu partium corporis humani (“L’utilità
delle parti del corpo umano”) e il De placitis Hippocratis et
Platonis (“Sulle dottrine di Ippocrate e Platone”) Galeno
affida, dunque, il compito di provare che gli stati psichici
dipendono dai temperamenti nelle sue diverse tipologie o species.
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2. La fisio-gnomica di Galeno |
Come visto, le species temperamentali non sono altro che stati (éxeis) della
materia; è da esse, sostiene Galeno,
che si originano la funzionalità degli
organi, sia di quelli secondari sia di quelli principali (fegato, cuore,
cervello).
Dal momento che il concetto moderno di “funzione” e quello antico
di “anima” di un organo sembrano sovrapporsi sino ad identificarsi, tanto in
Aristotele quanto in Galeno, è perciò sempre da un cattivo temperamento (o “cattiva
complessione”, mala complexio) che la funzionalità di un organo può essere
ostacolata sino ad essere privata, e dunque assente. Esiste così una
prossimità di fondo tra la forma dell’organo e la miscela delle qualità
elementari, o temperamenti, che ad essa danno origine e ciò vale anche anche per il cervello, la cui “anima” riesede nella
forma dell’organo e nelle qualità temperamentali ad esso inerenti. Se noi
oggi diamo a questa prossimità causale il nome di chimica, o di neurofisiologia
nel caso del cervello, all’epoca di Galeno il problema era piuttosto quello
più generale di associare alla “natura” del corpo (physis) il “carattere”
mentale (gnome), ed era dunque un problema di fisiognomica.
Questo
carattere fisiognomico si evidenzia maggiormente quando, nella sua
Ars medica, Galeno associa il buon funzionamento cerebrale alla
forma del capo che, egli scrive, deve somigliare ad una pallina di
cera leggermente schiacciata ai lati (MALATO, 1972, p. 10; RICCIO,
1993, pp. 87-88). È sorprendente pensare come secoli di dispute
sulla connessione tra volumetria celebrale e capacità mentale, da
Cuvier a Brocà, sino a Lombroso, fossero contenuti in nuce in
questa semplice e pure chiara assunzione galenica
(MANZONI, 2007, p. 120 e ssg.). La fisiognomica galenica trova,
dunque, il suo fondamento scientifico nella teoria dei
temperamenti, o meglio, nell’interpretazione che della forma
aristotelica (eidos) Galeno compie nel già ricordato Quod animi
mores.
Se per Aristotele “forma” (eidos) e “funzione” (érgon)
sono l’una il complemento dell’altra, sino ad identificarsi
(BIGOTTI, 2009, pp. 43 e ssg.), per il Galeno del Quod animi mores
la “forma”, ovvero le parti omogene del corpo, conseguono
(epeisthai) alla composizione delle qualità elementari (i già
menzionati temperamenti caldo, freddo, secco, umido) che sono anch’esse
delle “forme” (eide) nel senso che la loro miscela (krásis)
segue schemi precisi (VEGETTI, 1984, pp. 135 e ssg.). |

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È
per noi difficile comprendere quanto vasto fosse il campo di
applicazione della fisiognomica antica, ed è possibile farlo
forse solo assumendo – come fa Galeno – che “natura” sia
anche quella parte di comportamenti che normalmente ascriviamo
alla sfera del mentale, o comunque del soggettivo. Ad ogni modo, l’approccio
organicista galenico permette, come il nostro prontamente
dichiara, di comprendere perché “forme complesse” come gli
stati mentali, possano subire affezioni (pathemata) da parte di
sostanze psicotrope quali il vino ed alcune specie di cibi e
farmaci, la cui composizione è considerata una “forma semplice”
nel senso della miscela temperamentale.
Questo orientamento porta Galeno – né poteva essere
diversamente –, a negare implicitamente qualsiasi indipendenza
dell’ “anima razionale” presente nel cervello, poiché, come
già detto, l’anima altro non è se non la funzionalità dell’organo
conseguente al temperamento. Vi sono dunque tante “anime”
quante
sono le strutture prinicapali dell’organismo, e princiapalmente
tre, fegato, cuore e cervello.
Ad esse – insieme ai testicoli denominate in seguito fundamenta
vitae – Galeno attribuisce il compito di coordinare la vita
psichica in generale, così che l’“anima” (psyche) legata ai
processi biologici primati (crescita, nutrizione, alterazione),
detta vegetativa, viene localizzata nel fegato (in quanto nei feti
esposti esso è più grande delle altre parti e mostra funzioni
emopoietiche); quella associata alle emozioni, detta sensitiva,
viene localizzata nel cuore (in virtù del fatto che la normale
attività del polso subisce modificazioni sensibili in
concomitanza di eventi psichici di una certa entità; gioia,
tristezza, amore etc.); quella razionale e legata alla sfera
riflessiva, infine, viene situata nel cervello, con una
particolare attenzione rivolta ai ventricoli cerebrali (GRMEK,
1996, p. 115, Figg. 5-6). |
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Per
quanto riguarda il cervello, Galeno mostra conoscenze molto avanzate per la sua epoca ed i libri IX e XIV
delle sue Anatomices administrationes testimoniano
sufficientemente in tal senso (ROCCA, 2003, pp. 81 e ssg.).
Ad esse egli si appoggia continuamente nella sua opera De placitis
Hippocratis et Platonis, per confutare le teorie di coloro che
negano ai nervi, ed in generale al cervello, il ruolo di
responasabile princiaple delle funzioni di senso, cognizione e
moto.
Applicando in certo senso
la fisio-gnomica al cervello, egli associa la simmetria interna
della struttura ventricolare a quella del perfetto temperamento e,
più universalmente, dichiara che dalla perfetta forma esteriore e
dalla perfetta forma del temperamento procede la migliore
costituzione del corpo umano (GALENO, De optima corporis nostri
constitutione, I, 1).
Quanto alle neuropatologie, egli sicuramente
riconosce che la maggior parte di esse viene causata da lesioni o
alterazioni fisiologiche dell’encefalo, in particolare dei
ventricoli, stabilendo così un stretto rapporto di
interdipendenza tra patologia e fisiologia dell’organo.
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Come Oliver Sachs egli era probabilmente convinto, che «l’intima
natura del paziente è del tutto pertinente all’ambito d’indagine
più elevato della neurologia e alla psicologia, poiché esse
hanno intimamente a che fare con la personalità del paziente» e
che, in ogni caso, «lo studio della malattia non può essere
disgiunto da quello dell’identità» (SACHS, 2001, p. 12). Per
queste patologie, dunque, egli non esitava a ricorrere al
trattamento dei farmaci, per lo più a revulsivi ed emetici come l’elleboro
bianco. In ciò non era il primo, dato che Aristotele, prima di
lui, aveva ammesso la cura farmaceutica come efficace correzione
morale (ARISTOTELE, Eth. Eud., 1214b, 28 e ssg. ).
Ciononostante, per alcuni tipi di sintomi Galeno preferiva l’approccio
psicologico e/o dialogico con il paziente, probabilmente maturato
proprio a contatto con quei pazienti che, piuttosto che l’intervento
medico, sembravano avere bisogno di un interlocutore, finendo
addirittura col fingere patologie inesistenti (non va dimenticato,
infatti, che Galeno scrisse anche un libro su come vadano
redarguiti coloro che fingono delle patologie, Quomodo morborum
simulantes sint deprehendendi).
Nella
psico-biologia di Galeno, la natura temperamentale del cervello, come quella
degli altri organi, procede dalla costituzione dell’individuo sin dalla sua
prima origine.
Non è chiaro se questa posizione conducesse ad esiti di determinismo morale
estremo, oppure costituisse semplicemente uno di quei fattori biologicamente
innati, conseguenti alla costituzione temperamentale del feto, fatto sta che nel
De locis affectis egli ritiene che la natura dell’individuo biologicamente
determinato influisca, e potentemente, sulle inclinazioni soggettive dello
stesso (GRMEK, 1996, p. 16; GALENO, 1549, VI, 6) a tal punto da ritenere,
proprio nel Quod animi mores, che l’intera vita morale fosse riducibile alle
due sole cause fisiologiche da lui individuate nel De naturalibus facultatibus,
quella ‘attrattiva di ciò che è specifico’,
in grado di condurre a ciò
che è bene per noi, e quella ‘repulsiva di ciò che estraneo’ che ci
permette di scongiurare il male.
Egli nega, dunque, che durante la formazione del feto possano intervenire anime
esterne o attraverso un’immigrazione od una emigrazione per metempsicosi: la
questione non è scientifica e, in ogni caso, non apporta alcun incremento al
progresso della scienza medica. Su l’intera questione grava, quindi, la
necessità di un dubbio che non può essere risolto altrimenti che con la
consapevolezza critica della sua impugnazione.
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3. Un’opera «singolare» e «solitaria» |
Data
la rilevanza e l’eterodossia dei temi trattati nel Quod animi mores non è
difficile comprendere che, nel Medioevo cristiano come nei primi secoli dell’era
moderna, il testo fosse poco amato sia dalla Chiesa, preoccupata dalla negazione
dell’immortalità dell’anima comunque implicita nelle tesi di Galeno, sia
dagli intellettuali più in vista i quali, ad iniziare dal grande Fernel,
finirono con il mettere in discussione l’intero modello temperamentale e
fisico proposto dal galenismo, preoccupati forse più delle ricadute morali e
deterministiche dello stesso che non dei suoi contenuti positivi (FERNEL, 1593,
I, capp. 1-7). Sui «non allineati» si esercitò, quindi, con interesse e
continuità l’attenzione dell’Inquisizione, che condannò a più riprese
molte delle opere che al trattato galenico direttamente o indirettamente si
richiamavano, tra di esse la più celebre fu L’esame degli ingegni (1575, Fig.
7), opera del medico spagnolo Juan Huarte de San Juan (1529-1588).
Più
in generale la censura e l’inquisizione interessarono sia fisionomisti, come
il napoletano Giovanni Battista della Porta (1535-1615), sia fisiologi e
naturalisti (Aldrovandi e il già ricordato Huarte).
Ad essere preso di mira era soprattutto il presupposto di riduzione progressiva
del contenuto morale a quello fisiologico, esplicitamente affermato da Galeno
stesso nella fine del suo trattato. Ciononostante il Quod animi mores venne
tradotto nel rinascimento molte volte, sia negli opera omnia, sia come
monografie, con addirittura una traduzione in lingua francese nel 1539.
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Il clima rinascimentale fu più di ogni altri ricettivo delle suggestioni
galeniche, sia perché fu proprio ad iniziare dal Cinquecento che vennero edite
tutte le opere di Galeno, precedentemente conosciute solo mediante compendi
talvolta anche corrotti (l’edizione in greco fu curata da Aldo Manuzio nel
1525, quella in latino da Giunta a partire dal 1541 con la collaborazione dell’anatomista tedesco
Johannes Günter von Andernach e dell’allievo Andrea Vesalio), sia
perché dopo la Fabrica dello stesso Vesalio (1543), l’anatomia
e la sua ricerca della forma conobbero un notevole incremento.
Gabriele Falloppio, Matteo Realdo Colombo, Costanzo Varolio e
Girolamo Fabrici da
Acquapendente non sono che alcuni nomi
tra i più importanti di
questa anatomic renaissance. Le loro scoperte costituirono
altrettanti incentivi a tradurre in atto i precetti di Galeno,
così come riportarono in auge il metodo galenico che, seppure
spesso errato nei contenuti, si dimostrava corretto nelle premesse
generali e negli appelli alla sperimentazione. Fu così che sul
declinare di questa tradizione rinascimentale, un medico
bergamasco si propose di commentare proprio il Quod animi mores di
Galeno ed, a quanto pare, il suo fu un tentativo isolato. Il
medico in questione era un giovane allievo dello Studium di
Padova, Giovanni Battista Persona. Prima di prenderne in
considerazione l’opera sarà opportuno spendere qualche parola
sulla vita e la personalità storica. |
4. Vita ed opere di Giovanni Battista Persona
(1575-1620)
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Sebbene
dovette trattarsi di una delle personalità più in vista della sua epoca, poco
conosciamo oggi della vita e dell’attività letteraria di questo medico
umanista.
Da un resoconto dell’abate Donato Calvi (CALVI, 1664, pp. 231-232) apprendiamo
il curriculum degli studi dell’autore, il luogo d’origine e la conferma
della data di nascita, che è possibile evincere peraltro dalla prefazione del
suo Commentarius singularis al Quod animi mores di Galeno (1602), in gran parte
volta agiustificarsi dall’accusa preventiva di essere troppo giovane –
appena ventisette anni, come conferma il Calvi – per potersi dedicare ad un’opera
teoricamente impegnativa e di ampio respiro quale il commento al Quod animi
mores.
Giovanni Battista Persona, detto Personè (o Personeni, Cfr. TIRABOSCHI, 1824,
pp. 90-91), naque ad Albino nel territorio di Bergamo nel
1575.
Studiò filosofia a Milano con il gesuita Bernardino Salino e proseguì poi gli
studi di teologia e medicina. Da Milano si rivolse a Padova, nel 1593, dove
studiò con il «prencipe de filosofi de suoi tempi», Francesco Piccolomini
(1520-1604), conseguendo tre anni dopo, nel 1595 (BIGOTTI, 2010) , il titolo di
dottore in medicina e filosofia nello stesso studium di Padova. Da un’annotazione
marginale dell’Allgemeines Gelehrten-Lexicon di Jöcher Gottlieb Christian
siamo informati, infine, del fatto che egli morì a Bergamo nel 1620 (CHRISTIAN,
1751, p. 156). Un suo ritratto, qui riprodotto (Fig. 8), è conservato presso la
Biblioteca Angelo Mai di Bergamo. Della sua produzione, prevalentemente di
carattere scientifico-letterario, conosciamo i titoli – confermati peraltro da
almeno altre due fonti, l’Allgemeines Gelehrten-Lexicon di Jöcher Gottlieb
Christian, nelle sue due edizioni rispettivamente 1751 e del 1816 – che riportiamo di seguito, schematicamente:
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Titolo |
Luogo di edizione
|
Anno
|
Fonte |
In
Galeni librum, cui titulus est: Quod animi mores corporis temperiem sequuntur
Commen-tarium singularis |
Bergamo |
1602 |
Donato
Calvi, Scena letteraria degli scrittori bergamaschi - 1664 |
Varianti
del Titolo e delle Fonti |
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Comm.
In lib. Galeni, quod animi mores corporis temperirem sequuntur |
assente |
assente |
Jöcher Gottlieb Christian, Allgemeines
Gelehrten-Lexicon - 1751 |
Commentarium
in Galeni librum, quod animi mores corporis tempe-riem sequantur |
Bergamo |
1602 |
Jöcher Gottlieb Christian,
Allgemeines Gelehrten-Lexicon.
Fortsetzungen und Ergänzungen von H. W. Rotermund - 1816 |
Discursuum
Medicinalium libri I |
Bergamo |
1603 |
Calvi,
1664 |
Discursus
medicinales |
assente |
assente |
Jöcher Gottlieb
Christian, 1751 |
Discursus
medicinales |
Bergamo (ib.)
Venezia |
1603
1613 |
Jöcher
Gottlieb Christian, 1816 |
Scholia
in tres Galeni libros de venae sectione Therapeuticum adversus Erasistratum, &
adversus Erasisrateos
|
Bergamo |
1611 |
Calvi,
1664 |
Varianti
del Titolo e delle Fonti |
|
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|
Scholia
in Galeni libros de venaesectione |
assente |
assente |
Jöcher
Gottlieb Christian, 1751 |
Scholia
in Galeni libros de venaesectione |
Bergamo
(ib.) |
1611 |
Jöcher Gottlieb Christian, 1816 |
Osservationi
di trentasette errori in sole diciotto delle corrette as-sertioni del P.
Horatio Montalto Giesuita contro il libro della realtà delle imprese, &c |
Bergamo |
1613 |
Calvi, 1664 |
Varianti
del Titolo e delle Fonti |
|
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|
Observationes
37 adversus Horat. Montaltum
pro libro de veritate insignorum Herc. Tassi |
assente |
assente |
Jöcher Gottlieb Christian, 1751 |
Noctes
solitariae liber singularis in seputaginta colloquia distributus, siue di ÿs
quae scripta sunt à Galeno [recte ab Homero N. d. A.] in odissea; in quo
praeter non pauca Theologica, multa etiam Physica, multa Meta-physica, Ethica,
Medica, Geometrica, Astronomica, demum & Physiognomica tractantur |
Venezia |
1613 |
Calvi, 1664 |
Varianti
del Titolo e delle Fonti |
|
|
|
Noctes
solitarias [recte solitariae N. d. A.], s. de iis, quae scientifice scripta
sunt ab Homero in Odyssea |
assente |
assente |
Jöcher
Gottlieb Christian, 1751 |
Noctes
solitariae, s. de iis, quae scientifice scripta sunt ab Homero in Odyssea |
Venezia |
1613 |
Jöcher Gottlieb Christian, 1816 |
|
La diffusione delle opere di Persona è attestata – per quanto attualmente mi
è dato sapere –, a vari livelli. La sua fortuna storica maggiore, al di là
di quella del pur rilevante commentario al Quod animi mores, fu legata alle
Noctes Solitarie, sive de iis quae scientifice dicta sunt ab Homero in Odyssea,
Venezia, 1613, una serie di “colloqui” nei quali, a partire dai versi di
Omero, Persona approfondisce questioni scientifiche e mediche, tra cui anche il
problema dell’ereditarietà dei caratteri somatici (Colloquio terzo: Traditur
accurate caussa Physica propter quam Filij sunt Parentibus similes). Una copia
delle Noctes solitariae, insieme ad una del Commentarius singualaris, era
posseduta dal grande medico francese Gabriel Naudé (1600-1653) il quale, dopo
essere stato allievo di Cesare Cremoni a Padova, fu medico personale di Luigi
XIII e bibliotecario dei cardinali Richelieu e di Mazzarino (BOEUF, 2007, pp.
217, 250). Oltre che di carattere scientifico le Noctes solitariae di Persona
rappresentarono una pagina dello studio omerico nel Seicento, costituendo uno
dei testi di riferimento del Homerus ebraizon, sive, Comparatio Homeri cum
Scriptoribus Sacris (1658) di Zachary Bogan; (Cfr. NELSON, 2008). Attualmente,
copie del Commentarius e del Discursuum medicinalium si trovano conservate
presso la British Library di Londra con segnatura 1171.k.3 (Discuursum
medicinalium) e 540 f. 10 (Commentarius).
Se
l’interesse manifestato dal Persona per Galeno è giustificato principalmente
dall’esercizio della professione medica, la stesura del Commentarius
singularis al Quod animi mores involge an-che altro tipo di ragioni, ad iniziare
da quelle di carattere specificamente filosofico. Il Persona, in effetti,
rientra pienamente nell’ambito di quei galenisti che nel Rinascimento
tentavano di discutere contro le tesi di Galeno (velitare adversus Galenum)
adottando le sue stesse armi – o, tutt’al più, quelle desunte dalla
scolastica (cfr. BIGOTTI, 2010) –, con la differenza,
niente affatto irrilevante in questo caso, che gli interessi dell’autore
si rivolgevano alla filosofia platonica piuttosto che a quella peripatetica.
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Di un
simile interesse per il platonismo, infatti, ci documenta ancora una volta il
Calvi:
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Cosi
sempre Gio.Battista, hor con Galeno, hor con Platone
ritrovato, perche di quello seguace,di questo amico, di quello commentatore, di questo
immitatore, di quello per l’arte medica degno figlio, di
questo per l’Accademia inviscerato discepolo. (Calvi,
1664, p. 232)
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Al di là della pur considerevole diffusione del Quod animi
mores di Galeno nel
Rinascimento, sembra dunque la polemica ingaggiata da Galeno
contro Platone e la destinazione platonica del trattato a
motivare, con ogni probabilità, gli interessi di Persona.
Come visto, infatti, Galeno negava contro Platone che l’anima
razionale potesse essere separata dal corpo, o comunque
sopravvivergli, poichè essa si identificava con la
fisiologia del temperamento cerebrale. Passando in rassegna
il commentario, tuttavia, di questo significativo interesse
per Platone si scorge solo raramente traccia, ed è
piuttosto Aristotele e la scolastica a fornire a Persona le
armi per combattere le tesi di Galeno. A parte alcuni
distinguo ed altre affermazioni che ai nostri occhi
potrebbero apparire gratuite, soprattutto se inserite in un
simile contesto come l’intera serie di problemi legati all’immortalità
dell’anima ed ai presupposti teologici, il commentario si
mantiene piuttosto fedele al testo galenico. La conoscenza
del testo greco da parte del Persona, infatti, per-mette all’autore
di seguire l’argomentazione della propria autorità in
tutte le sue molteplici articolazioni. Un primo
significativo esempio delle molteplici tipologie in cui si
esprime tale discussione (velitatio) è offerta, neppure a
farlo a posta, dall’occupatio iniziale della Prefazione,
con la quale il Persona si difende dall’accusa di opporsi
alle tesi di Galeno pur facendo professione di galenista:
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Un’altra veramente grave calunnia rivolta contro questa
nostra opera sarà quella di alcuni galenisti intransigenti,
i quali riterranno sconveniente il fatto che talvolta,
intenzionalmente, mi discosti dall’opinione di Galeno. L’opera,
diranno, reca il titolo di Libro Commentario, ma riguardo al
contenuto, in fin dei conti non di un Commentario si tratta,
ma del contrario. [...]
Ma lungi da me il proposito di
allontanarmi dal mio Cristo, piuttosto che da Galeno. D’altra
parte, anche quando lo ritroverai, amico lettore, [sappi]
che mai in questo libro avrò contrastato deliberatamente le
tesi di Galeno, salvo laddove, perlopiù, l’argomento
tratterà dell’anima razionale. D’altra parte, che
Galeno (qualunque fosse, in definitiva, la sua opinione in
merito alla sostanza dell’anima) la stimasse caduca e
mortale, sebbene anche in altri luoghi, sembra sia possibile
desumerlo sicuramente da questo stesso libro, che ora ci
accingiamo a commentare. Certamente, chiunque approvi tale
affermazione sarà manifestamente empio ed acerrimo nemico
di Cristo. Dunque, con riguardo a questo aspetto, non mi è
stato possibile non discostarmi dalle opinioni di Galeno.
(PERSONA, 1602, pp. 4-5)
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Insomma,
potremmo dire amicus Galenus, sed magis amica veritas. Le tesi di Galeno sono
comunque considerate empie, ed indegne di un buon cristiano. La neurologia aveva
ancora molti passi da compiere prima di potersi stabilire come campo di ricerca
autonomo; del resto ancora oggi, quando esperimenti sul rapporto mente-cervello
vengono riproposti, essi non cessano di suscitare perplessità e stroncature,
non ultimi quelli di Benjamin Libet che dimostrerebbero una certa subordinazione
diacronica della coscienza ai processi puramente neurofisiologici (LIBET, 2007).
In ogni caso, l’intento di Persona è chiaro: non solo la struttura del
periodo, ma anche l’iniziale, aperto riconoscimento dell’autorità di
Aristotele quale principe dei filosofi posto nella Prefazione al lettore, non
lasciano adito a dubbi: ci troviamo di fronte ad un pro Aristotele adversus
Galenum, esposto in forma di commentario. Mette conto, tuttavia, notare come
tale velitatio non sempre sia del tutto consapevolmente rivolta dal Persona
adversus Galenum.
In effetti, uno dei problemi più rilevanti che un commentatore, sia antico sia
moderno, si trova a dover gestire è il «criterio di coerenza» che egli deve
necessariamente anteporre quale guida metodologica del proprio impianto
esplicativo. Tale criterio, nonostante la notevole sistematicità offerta dai
testi della medicina galenica, poteva in alcuni casi rivelarsi una forzatura
implicita. In effetti, non tutta l’opera di Galeno si presenta come un sistema
unitario esposto alla luce di alcuni principi generali e, specie nel caso della
psicologia e della morale, sussiste il problema oggettivo di comprendere quale
effettivamente sia stata l’opinione di Galeno al riguardo.
Tale incongruenza
sul piano della ricostruzione teorica può, del resto, solo in parte essere
ricondotta alla mancanza di testi anche importanti dell’autore (come il Perì
ethon o Sui costumi che Galeno cita in continuazione nel suo Quod animi mores) o
alla cronologia relativa delle opere. Essa informa di sé l’esegesi globale
della medicina galenica, che si rivela così in più casi aporetica. Anche il
confronto, seppur necessario, tra più testi relativi a trattazioni affini ma
sviluppate in ambiti differenti rivela spesso oscillazioni e incongruenze
difficilmente conciliabili tra loro in sede ermeneutica (TEMKIN, 1973, p. 6). A
questo problema Persona ovvia presupponendo alla trattazione galenica un
impianto aristotelico che tende a sistematizzare il carattere delle affermazioni
galeniche nel quadro della psicologia di Aristotele, operazione che sconta non
di rado l’inconveniente di stravolgere completamente il senso delle
affermazioni galeniche, specie di quelle relative alla tripartizione dell’anima
in razionale, sensitiva, vegetativa, risolvendosi nell’anteporre alle
affermazioni dell’uno quelle dell’altro. Se è possibile definire tale
atteggiamento come comunque velitativo, ovvero di opposizione e critica, occorre anche
riconoscere che tale velitatio era portata avanti nell’intento di conciliare
il maggior numero possibile delle tesi di un autore con se stesso.
Persona mostra di condividere l’affermazione galenica secondo la quale il
carattere segue il temperamento cerebrale; ciò che il commentatore contrasta è
la conseguente, indebita, riduzione della causa formale a causa materiale, vale
a dire la riduzione operata da Galeno tra la forma aristotelica, intesa come
programma genetico e struttura morfologica del vivente, e il tempera-mento,
ovvero chimico-fisica degli organi.
Persona denuncia la malafede di Galeno, ed
afferma, che se è in potere del medico ristabilire l’equilibrio nei
temperamenti del malato guarendolo, allora almeno il medico deve poter
prescindere dal cieco determinismo degli stessi, altrimenti non potrebbe avere
la capacità di intervenire in alcun modo sul paziente.
Del medico Giovanni
Battista Persona fa così un modello culturale, che supera forse quello
galenico, egli deve essere capace di contribuire all’identità del soggetto,
in modo da assecondarla, non di ostacolarla o condizionarla. Inoltre, da un
punto di vista prettamente fisico, seguendo Aristotele, Persona stabilisce che
la materia trova nella mente umana (intellectus, nous) la sua perfezione ultima,
ed essa consiste nel poter determinare gli eventi in modo libero e causale,
così da imprimere ad essi una deviazione, ove necessario, dal loro condizionato
svolgimento fisico. In questo modo, egli sottolinea, tutti i rapporti tra
sostanze psicotrope e coscienza saranno subordinati alla libera valutazione dell’individuo
il quale sarà sì costituito di materia, ma non asservito alle sue cieche leggi
deterministiche.
Al di là delle motivazioni morali e religiose che pure Persona
si trova ad affrontare, una cosa è certa, la psiche ha sempre rappresentato per
la medicina un dominio affascinante, poiché la salute cui mira il medico deve
essere, per antonomasia, quella psico-fisica e difficilmente è possibile
ristabilire l’una senza l’apporto dell’altra. Nel fissare su carta queste
sue riflessioni Persona consegnava ai posteri l’unico commento ad un testo
straordinariamente interessante, il Quod animi mores, che non cessa ancor oggi
di rappresentare per il medico una dimostrazione di quanto culturalmente elevata
e scientificamente impegnativa possa essere la sua professione.
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