Primi trapianti di cornea animale.
I pionieristici esperimenti eseguiti a Torino
negli anni '60 dal professor Pietro GIANI
Oltre quarant’anni fa, a Torino, ogni mattina alle nove, un signore con gli occhiali, al volante di una Fiat millecinque color latte, attraversava la città portando con sé una valigetta di foggia antiquata dal contenuto insolito: occhi di cavallo appena estratti dalle orbite. Quell’uomo non era un sadico ma un medico oculista, il dottor Tommaso Pansini, assistente all’ospedale Maria Vittoria, che aveva il compito di procurare bulbi oculari al suo primario, Piero Giani, il primo chirurgo italiano che abbia tentato innesti parziali di cornee fresche dagli animali all’uomo.
Il dottor Pansini arrivava al mattatoio pubblico di corso Vittorio poco prima che vi giungessero i cavalli destinati al macello. Appesi ai ganci pendevano i corpi dei quadrupedi macellati il giorno prima. È a questo punto che interveniva l’uomo di “fiducia” del dottor Pansini, il signor Mario Biletta (37 anni, 20 mila cavalli macellati), per compiere una grossolana enucleazione del bulbo oculare, afferrandolo con una pinzetta lo riponeva con estrema cura in un vasetto con garze e soluzione fisiologica. Il tutto riposto nella valigetta a soffietto e, a tutta velocità, partiva verso l’ospedale dove i bulbi venivano conservati alla temperatura di 4° C e l’utilizzo entro le 24 ore successive.
Interveniva ora il prof. Piero Giani, allora 57enne, capelli bianchi, grande osservatore, rimettendo in discussione un vecchio dogma, ossia l’impossibilità di usare cornee animali per trapianti corneali sull’uomo. Ma chi era Piero Giani? Nacque a Torino nel 1904. Laureato in Medicina e Chirurgia con tesi dichiarata e dignità di stampa, si dedicò agli studi di batteriologia e immunologia, frequentando l’Istituto di Batteriologia dell’università presso l’ospedale Maria Vittoria dove fu primario per oltre 25 anni.
Compì alcuni lavori sull’intolleranza agli arsenobenzoli, sulla filtrabilità del batterio del tifo, sulla immunizzazione dell’occhio con antivirus ed alcune ricerche microbiologiche sul tracoma. Frequentò la Clinica Oculistica dell’ateneo torinese, e in seguito fu assistente all’ospedale Oftalmico dove produsse lavori sull’oftalmia dei neonati, sulla tubercolosi della congiuntiva, sugli aspetti anatomo-istologici delle neo formazioni congiuntivali. Nel 1934 conseguì la libera docenza in Clinica Oculistica ed Oftalmologia, e nel 1938 divenne primario al Maria Vittoria.
Di ampie vedute, non era il tipo dello studioso freddo e distaccato, ma un uomo entusiasta e di grande cuore (credeva nell’importanza della formazione di nuovi allievi) e schivo agli incarichi ed al far parlare di sé, fu anche un profondo umanista per la sua spiccata sensibilità artistica e passione per la pittura, la numismatica e l’antiquariato; inoltre, si interessò di storia delle religioni e storia dei Papi, ma anche di cinofilia: è stato giudice dell’Ente Nazionale Cinofilia Italiana (ENCI) ed il primo a riproporre in Italia l’Epagneul Breton importando dalla Francia Celta, campionessa di bellezza, e Distac de Cornovaille, gran cane da lavoro. Una passione che, per uno strano destino, il suo nome sarebbe stato legato al cane anche per quanto riguarda la sua attività di chirurgo e oculista.
Ma torniamo alla sperimentazione e alla storia clinica. Dopo oltre 150 studi sulla cornea e confidando nei risultati ottenuti da Paul Payrau (insigne clinico e direttore del reparto oculistico dell’ospedale Val de Grace di Parigi), il prof. Giani aveva ripreso in esame la possibilità di praticare etero-innesti servendosi di cornee trattate con la silico-dissecazione. Un metodo che discusse con il collega Payrau nel
Approfondimenti in merito sono stati discussi alcuni anni più tardi, il 10 febbraio
Successivamente, sul numero 1-4 del gennaio/aprile 1962 del Giornale di Batteriologia Virologia ed Immunologia, degli Annali dell’Ospedale Maria Vittoria, il prof. Giani riportava un commento sulle più recenti esperienze in merito all’eterotrapianto lamellare effettuato con cornea animale fresca, partendo dalle premesse e dai risultati ottenuti dal prof. Payrau, prima, e dallo stesso Giani e collaboratori, poi, con cornee animali trattate mediante la silicodissecazione. Trattamento che in un primo tempo era preceduto da perfrigerazione, in seguito ridotto alla silicodissecazione semplice.
Fu proprio nel discutere di tale metodo di preparazione corneale direttamente con il prof. Payrau, a Parigi nell’aprile 1955, che il cattedratico torinese comunicò all’illustre collega il suo dubbio che il semplice disseccamento potesse eliminare completamente il potere antigenico delle cornee che i clinici torinesi adoperavano, e che pertanto si sentiva “tentato” di usare la cornea animale fresca. Il 15 aprile 1961 il prof. Giani e la sua équipe operarono i primi due casi di eterortrapianto lamellare con cornea fresca di cane; tali casi documentati con fotografie, vennero presentati al prof. Payrau a Parigi. Tra l’aprile ed il giugno 1961 vennero operati 5 pazienti, il cui esito venne reso noto in una comunicazione sugli “Annales d’Oculistique”.
Con tale comunicazione il prof. Giani rendeva noto che l’innesto di cornea fresca di cane gli era riuscita in tutti i 7 casi operati, confermando che vi era stato attecchimento definitivo in tutti i 7 pazienti e che la guarigione clinica dei 6 pazienti affetti da cheratite erpetica era stata totale. E ciò, anche se il suo giudizio espresso nella comunicazione non poteva ancora essere definitivo relativamente ai risultati ottici, perché non era ancora trascorso un periodo abbastanza lungo dagli interventi chirurgici. Tuttavia, da tali risultati iniziali, il prof. Giani si sentiva di poter affermare che, almeno nella cheratite erpetica, era addirittura preferibile la cornea fresca di cane.
Si sentiva di fare questa affermazione perché nei pazienti operati con cornea fresca di cane non aveva mai avuto vascolarizzazione, di conseguenza non vi era la possibilità che la cornea del cane potesse scatenare nell’ospite (paziente) una reazione anticorpale da rigetto. Tale circostanza si era manifestata solo in due casi (graft verus host desease) con la comparsa di qualche tenue vasellino. “Relativamente al risultato ottico – osservava il prof. Giani – abbiamo operato pazienti che soffrivano da molti anni di continue ricadute della cheratite-erpetica e con cornee leucomatose, spesso vascolarizzate e con visus ridottissimo. D’altra parte, trattandosi di un intervento non ancora effettuato da altri con esito favorevole, non sarebbe stato razionale tentarlo su bulbi in condizioni migliori. Ritengo che buoni risultati si potranno ottenere anche con cornee di altri animali, ma non abbiamo ancora esperienza sufficiente in merito”.
Tuttavia, in base alla esperienza clinica della équipe del prof. Giani, lo stesso si sentiva di poter affermare che il trapianto lamellare di cornea fresca di cane attecchiva nell’uomo; il lembo di cornea di cane fresca trapiantato nell’uomo, si lasciava colonizzare dai vasi molto raramente e, quando ciò avveniva, era in misura irrilevante. Nel trapianto di cornea silicodisseccata di cane, la invasione dell’innesto da parte di vasi neoformati era meno rara; nell’omoinnesto invece tale invasione era quasi ricorrente. Inoltre, il recupero funzionale nell’eteroinnesto fresco, è stato altrettanto valido quanto gli eteroinnesti silicodisseccati, se non addirittura superiore; infine, la malattia dell’innesto, nell’eterotrapianto fresco era più lunga che negli eteroinnesti e negli omoinnesti, ma si risolveva sempre favorevolmente entro 4-5 mesi.
Ma già nel 1958 Giani e coll. avevano praticato eteroinnesti lamellari sull’uomo con cornee di vitello preparate con la silicodissecazione (SD) e conservate vari mesi. I primi risultati furono molto soddisfacenti (sia per la mancanza di complicanze nel decorso postoperatorio e per il positivo effetto terapeutico ottenuto in casi di cheratite metaerpetiche recidivanti, sia per l’effetto ottico ottenuto) tanto da essere incoraggiati a proseguire nella pratica dell’eteroinnesto lamellare con cornee silicodissecate, oltre che di vitello anche di cane. L’innesto, che alle prime medicazioni risultava opalescente per edema più o meno intenso, tendeva a rischiararsi nel corso del primo e del secondo mese dall’intervento. Anche i vasellini neoformati nel tempo andavano scomparendo dopo un precoce trattamento con plesioterapia. Questi risultati clinici che si mantenevano stabili da oltre due anni, come pure quelli più numerosi ottenuti dal prof. Payrau sugli animali e sull’uomo con eteroinnesti lamellari di cornee conservate, hanno reso più concreta la possibilità di attecchimento dell’eteroinnesto lamellare.
Gli autori, convinti che nell’uomo il successo dell’eteroinnesto lamellare con cornee silicodissecate (SD) non fosse da attribuire solo al trattamento di conservazione delle cornee, hanno voluto constatare la tolleranza dell’occhio umano all’innesto di cornea fresca di animale, completando sull’uomo gli esperimenti compiuti dal prof. Payrau sugli animali. Da questo “conforto”, tra aprile e giugno 1961, hanno eseguito a scopo terapeutico 7 eteroinnesti lamellari con cornee fresche di cane;
Per questi eteroinnesti sono state usate cornee fresche di cane prelevate subito dopo la morte dell’animale, avvenuta per folgorazione elettrica. Le cornee sono state utilizzate nelle prime ore dopo la morte dell’animale o nelle 24 ore successive, conservandole in atmosfera umida a +4°. Gli interventi sono stati eseguiti in anestesia locale e praticando la tecnica di Paufique per l’innesto corneale lamellare. Per la contenzione dell’innesto venivano sempre usati i punti in croce ancorati all’episclera e passati sopra una rondella di pelle d’uovo, che copriva innesto e cornea ospite. L’uso di tale rondella dava agli oculisti maggiore sicurezza di mantenere in situ l’innesto senza traumatizzarlo. La prima medicazione è stata praticata in 5ª - 6ª giornata. In tutti i 7 pazienti operati dal prof. Giani e dalla sua équipe l’eteroinnesto lamellare di cornea fresca di cane ha attecchito.
Tralasciando i particolari delle storie cliniche (ampiamente descritte, sia pur interessanti sia dal punto di vista clinico che umano), il dott. Ligorio relazionava sui casi in questione con le seguenti osservazioni. I primi quattro innesti riguardavano donna di 70 anni affetta in OS da cheratite metaerpetica recidivante da tre anni con zone corneali di infiltrazione profonda e zone di perdita di sostanza superficiale; uomo di 61 anni sofferente in OS di cheratite metaerpetica recidivante e ribelle alle cure mediche ed alla plesioterapia, con presenza di infiltrato corneale centrale e zone di perdita di sostanza superficiale; uomo di 20 anni affetto da due anni da cheratite metaerpetica recidivante in OD, ribelle alle cure mediche ed alla plesioterapia, con infiltrato corneale nella parte centrale della cornea; e paziente di 38 anni, sofferente da 10 anni di episodi di cheratite metaerpetica in OS con conseguente diminuzione visiva.
In due casi l’evoluzione del decorso post-operaorio ha scatenato una reazione inattesa. Nel primo caso, dopo la iniziale regolarità del decorso, in 15ª giornata è esplosa, non preceduta da segni premonitori ed in concomitanza con uno stato influenzale del paziente, una segmentite anteriore acuta con interessamento dell’innesto e della cornea ospite; tuttavia la sintomatologia acuta si è risolta in 4-5 giorni: l’occhio ospite è tornato normale senza reliquari sull’iride, l’innesto ha riacquistato trasparenza, e l’esito finale ottico è risultato ottimo (9/10). Nel secondo caso la segmentite anteriore si è manifestata subito dopo l’intervento con segni analoghi a quella riscontrata in 15ª giornata nel primo caso. Anche qui è stato notato edema intenso dell’innesto e della cornea ospite, reazione iridea, ipopion; la risoluzione della fase acuta è stata anche qui rapida, senza esiti per l’occhio ospite, e l’innesto è tornato trasparente con risultato ottico finale soddisfacente (5/10).
Gli autori ritengono che in questi due casi si sia trattato di reazioni di intolleranza dell’occhio ospite all’eteroinnesto fresco, constatando che facilmente l’episodio è stato superato con risultato finale terapeutico ed ottico più che positivo. Confortati da questi risultati è stato eseguito un altro eteroinnesto lamellare con cornea fresca di cane in occhio affetto da pterigion recidivato. Ma in un altro paziente, di 48 anni, operato nel
A distanza di 14 mesi dai primi interventi di eteroinnesti lamellari con cornee fresche di animale, gli autori potevano concludere che nei sei casi di cheratite metaerpetica operati è stato ottenuto: 1) ottimo risultato terapeutico immediato con la attenuazione rapida della sintomatologia oculare erpetica, seguita da guarigione; 2) buoni risultati con recupero funzionale soddisfacente in occhi già compromessi da precedenti alterazioni di trasparenza della cornea; 3) effetto trofico con miglioramento definitivo della trasparenza della cornea ospite; 4) assenza di vasi neoformati sulla cornea ospite e sull’innesto. “Ma il valore di questi eteroinnesti lamellari con cornee fresche eseguiti sull’uomo – precisava il dott. Ligorio –, per noi va al di là dei risultati terapeutici, ottici, trofici riferiti. Noi pensiamo che la cosa più importante è l’aver conseguito sulla cornea umana l’attecchimento definitivo di innesti di cornee fresche di animale”.
Un ulteriore quesito, posto agli inizi degli anni ’60 dal prof. Payrau, consisteva nel fatto se fosse possibile applicare l’heterogreffe delle cornee in clinica. Dei suoi 40 interventi (nella maggior parte dei casi, a scopo terapeutico piuttosto che ottico) ben 12 riguardavano pazienti affetti da cheratite erpetica in evoluzione. L’autore ha utilizzato cornee conservate di cane operando i pazienti a caldo, ottenendo in tutti la guarigione clinica definitiva della malattia. Recidive sono state invece osservate e descritte in pazienti operati di omotrapianto, come pure in pazienti operati di cheratectomia semplice. Il prof. Payrau attribuiva i suoi positivi risultati al fatto che il cane è un animale refrattario all’herpes.
Ormai anche nel reparto Oftalmico diretto dal prof. Giani si andava registrando una certa esperienza nel campo degli eterotrapianti lamellari tanto da costituire una significativa e “confortante” casistica. Da una tabella riassuntiva ben si evidenziano i casi operati per cheratite erpetica, la cui diagnosi di cheratite erpetica e di cheratite metaerpetica è stata posta su basi essenzialmente cliniche, ossia non sono state effettuate quelle prove biologiche senza le quali non si poteva avere la certezza assoluta della diagnosi. I casi in questione erano affetti da cheratite quasi sempre recidivanti e quindi con forme cliniche differenti in momenti diversi, e questo stava ad indicare perché uno stesso paziente poteva essere stato classificato nelle forme erpetiche prima e metaerpetiche dopo.
Nel redigere la casistica dei casi sottoposti a trapianto, relativamente al periodo 1959-1962, il prof. Giani e i suoi collaboratori hanno tenuto conto del visus antecedente all’intervento; della data dell’operazione (intervento eseguito sempre a caldo, ossia durante uno degli attacchi di cheratite recidivante e nel pieno della sintomatologia, sia obiettiva che soggettiva); del tipo di materiale corneale impiegato; del comportamento della lamella innestata e del bulbo ospite dopo l’intervento; dell’effetto trofico sulla cornea circostante e sottostante il trapianto; del visus dopo la guarigione clinica; dell’effetto terapeutico, ossia della scomparsa della sintomatologia obiettiva e soggettiva della cheratite.
Si evince quindi che nel complesso tutte le cornee sia silicodissecate che le cornee fresche sono state ben tollerate dalle cornee ospiti senza alcuna importante reazione: l’effetto più costante, più evidente e quasi istantaneo è stato la remissione completa in tutti i pazienti operati, quasi sempre sin dalla prima medicazione postoperatoria della sintomatologia cheratitica. Un ulteriore elemento è stata l’assenza di recidive, fatto importante se si considera che la maggior parte degli operati soffrivano di forme che duravano da molti anni, con recidive frequenti, con sintomatologia soggettiva e con prolungate e ripetute assenze dal lavoro; conseguenza, questa, ben superata perché tutti dopo l’intervento hanno ripreso la loro attività lavorativa, indipendentemente dal recupero funzionale che talvolta è stato ben evidente.
“Se con l’evolversi delle attuali esperienze e con il trascorrere del tempo – sottolineavano i clinici Giani, Pansini e Ligorio - potremo avere la certezza che l’eterotrapianto lamellare guarisce la cheratite in modo definitivo, ecco che allora tale metodo terapeutico si dovrà imporre sugli altri (come l’omoinnesto e la cheratectomia semplice che non evitano del tutto la possibilità di recidive). È evidente che le forme di cheratiti erpetiche iniziali, superficiali e poco estese meritano delle terapie molto meno impegnative…; mentre un eterotrapianto lamellare può diventare l’unica arma quando si tratta di forme estese, recidivanti e dal lungo decorso, con grave sintomatologia obiettiva e soggettiva e forte riduzione del visus”.
Sino a quel momento, secondo questi risultati conseguiti dai clinici torinesi e secondo le esperienze cliniche già note in letteratura, era già serenamente possibile affermare di possedere una nuova terapia in grado di risolvere clinicamente le più gravi forme di cheratite erpetica recidivante, migliorando nel contempo dal punto di vista funzionale la condizione dei quei pazienti che, nelle forme bilaterali, avevano un visus gravemente compromesso. Ma dopo la morte del prof. Giani (8 marzo 1963) l’indicazione di innesto di cornee animali per il trattamento della cheratite erpetica non ebbe seguito, probabilmente per lo scarso “interesse” scientifico, ma soprattutto perché alcuni anni dopo sono stati realizzati nuovi farmaci antivirali in grado di curare tali affezioni.
Vorrei concludere con quanto affermava il Fielding H. Garrison (Washington 1870-1935), storico della Medicina e docente alla Johns Hopkins University School of Medicine. “La storia della medicina è, in realtà, la storia dell’umanità, con i suoi alti e bassi, le sue coraggiose aspirazioni alla verità e alla certezza, i suoi dolorosi insuccessi. Si può trattare l’argomento in vari modi, come una rappresentazione teatrale, un insieme di libri, una sfilata di personaggi, una serie di teorie, un’esposizione di errori umani, o come la vera essenza della storia della cultura”.
Dentro c’è tutta una vita.
Una vita, seppur in parte breve, a cui ha fatto parte il prof. Piero Giani, con il suo sapere, il suo proporsi e i suoi insegnamenti.
Fonti bibliografiche
Riferimenti scientifici: pubblicazioni
“Studi ed esperienze sull’eteroinnesto corneale“ – P. Payrau, P. Giani, A. Logorio, G. Sanna, A. Cambiaggi; Riunione scientifica del 10/2/1962, da Annali dell’ospedale Maria Vittoria di Torino, vol. LV n. 1-4 – gennaio/aprile 1962
“Sette casi clinici di eteroinnesto lamellare fresco“ – P. Giani, A. Ligorio; Giornale di Batteriologia Virologia ed Immunologia-Annali dell’ospedale Maria Vittoria di Torino; vol. LV, n. 1-4, gennaio-aprile 1962
“Etero innesto lamellare con cornee fresche. Risultati clinici” – P. Giani, A. Ligorio; da: Annali di Oftalmologia e Clinica Oculistica, anno LXXXVIII, n. 5 – maggio 1962
“Esperienze cliniche di cheratoplastica lamellare nella cheratite erpetica recidivante” – P. Giani, T. Pansini, A. Ligorio; da Annali di Oftalmologia e Clinica Oculistica, anno LXXXVIII, n. 12, dicembre 1962
Rassegna stampa divulgativa
IN UN OSPEDALE TORINESE - Cornee di cavallo - Innestate nell’occhio umano (La Stampa 26 ottobre 1962)
INTERESSANTE ESPERIMENTO A TORINO - Salvati dalla cecità con la cornea di cavallo - Trenta interventi tutti coronati da successo – Un innesto di lamelle dello spessore di tre decimi di millimetro (La Stampa 27 ottobre 1962)
GLI OCCHI DEI CAVALLI RIDANNO LA VISTA AGLI UOMINI - Per la prima volta nella storia della medicina il professor Piero Giani primario nell’ospedale Maria Vittoria di Torino ha fatto cadere quello che pareva un insuperabile dogma: ha attuato il trapianto di cornea fresca di animali nell’occhio umano – (Corrado Corradi - SUCCESSO, n. 11 anno IV – Novembre 1962)
CORNEE DI CAVALLO INNESTATE NELL’UOMO (Corriere Sanitario – Dicembre 1962)
Città di Torino – Consiglio Comunale – Sessione Ordinaria SEDUTA PUBBLICA - COMMEMORAZIONE DEL PROF. PIETRO GIANI (Estratto dal verbale della 3° seduta – lunedì 11 marzo1963)
ANIMAL CORNEAS FOR HUMAN EYES - Patient’s left eye, which wa blinded herpetic keratitis, recovered total vision one year after the operation (Image Roche Medical, april, 1963)
PROF. PIERO GIANI - di G. Heer (Estratto dal Giornale di Batteriologia, Virologia ed Immunologia – n. 11-12 – 1964)
CINOFILI DEL PASSATO: PIERO GIANI - (C.M. - CANI - Organo Ufficiale dell’Enci – n. 10 – novembre 1993)
STORIA DELL’OCULISTICA - Una vista da cavallo… I primi trapianti di cornea equina - I pionieristici esperimenti eseguiti a Torino da Piero Giani negli Anni ’60 – di Ernesto Bodini (Tutto Scienze de’ La Stampa – 7 luglio 1999)
MEMORIA - Piero Giani, oculista torinese - Il primo chirurgo ad innestare cornee di animali nell’uomo – di Ernesto Bodini (Newsletter Assessorato Regionale alla Sanità - Lunedì 25 febbraio – Domenica 3 marzo 2002)
NEL QUARANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE - Piero Giani, pioniere del trapianto di cornee animali nell’uomo – di Ernesto Bodini (Torino Medica – n.ro 4 – Aprile 2003)
GIANI PIERO – Medico (Torino 1904-1963) - La Grande Enciclopedia di Torino a cura di Massimo Centini Newton & Compton Editori – ott./ 2003
TORINO: STORIE & PERCORSI - Piero Giani, un grande medico che amava l’uomo e gli animali – di Ernesto Bodini (Arte e Dintorni – 9 dicembre 2004)
I suoi primi “esperimenti” eseguiti a Torino negli anni ’60 - Piero Giani, clinico e umanista, pioniere del trapianto di cornee animali nell’uomo (Ernesto Bodini- Informazioni Aip – n°4/2005)