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31-Marzo-2009

Ricerca e assistenza in sinergia per la cura dei pazienti affetti da S.L.A. - Sclerosi Laterale Amiotrofica

a cura della Redazione Scientifica


Scoperta e descritta oltre un secolo fa, la S.L.A. è una malattia neuromuscolare degenerativa che “blocca i muscoli e lascia libera la mente”.

Da anni sono in corso intense attività di ricerca in varie parti del mondo, come la recente scoperta del Sunc 1, il gene più “significativo” che favorisce la comparsa della malattia.

Per saperne di più abbiamo intervistato il prof. Adriano Chiò, neuroepidemiologo e responsabile del Centro S.L.A. del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino (diretto dal prof. Roberto Mutani). Ha coordinato un Gruppo di 10 Centri italiani ai quali hanno collaborato 5 Centri americani, 2 tedeschi e 2 inglesi (londinesi) coordinati a loro volta dal prof. Bryan Traynor del N.Y.H. di Bethesda (Washington)

Prof. Chiò, da quanto tempo si è a conoscenza della Sclerosi Laterale Amiotrofica?

“La S.L.A. è stata scoperta nel 1869 dal neurologo francese Jean Martin Charcot (1825-1893), e definita con questo nome cinque anni dopo nel 1874”

Qual è l’incidenza in Italia e nel mondo?

“Il numero di nuovi casi all’anno è di circa 3 su 100 mila in Italia, e probabilmente è un valore valido per la maggior parte dei Paesi occidentali. Non abbiamo delle chiare informazioni sulla incidenza della malattia nei Paesi del Terzo mondo”

Qual è il gene di suscettibilità che avete individuato?

“Si tratta di un gene che si chiama SUNC 1, individuato con una tecnica di analisi dell’intero genoma (tecnica piuttosto complessa che permette di individuare differenze genetiche fra le persone affette da una malattia e persone sane). Il gene codifica una proteina della membrana cellulare, ma non sappiamo ancora con precisione quale sia l’effetto reale di questa proteina e tanto meno sappiamo perché favorisce la comparsa della S.L.A.”

Si può ipotizzare l’ereditarietà?

“La S.L.A., in una percentuale di casi minori (circa il 10%) è ereditaria, e questo è noto da diversi anni: i primi casi ereditari descritti con sicurezza sono degli anni ’50 del secolo scorso”

Oltre ai calciatori professionisti colpiti (8), quali altre categorie di persone potrebbero essere considerate “a rischio”?

“Attraverso gli studi di epidemiologia sono state individuate alcune popolazioni che sembrano a rischio, tra le quali gli agricoltori il cui rischio è doppio rispetto alla popolazione “normale”; ma anche alcuni lavoratori (come ad esempio i saldatori) che sono a contatto con determinati metalli”

Vi sono al momento altre ricerche parallele alla vostra? E come stanno procedendo?

“Nell’ambito genetico vi sono moltissime ricerche, perché ovviamente le nuove tecnologie genetiche hanno permesso di lavorare su questo fronte, sia nei casi familiari dove è più facile individuare il gene sia nei non familiari dove invece si cercano questi geni che favoriscono la comparsa della malattia (non geni che la determinano). Ci sono Gruppi che lavorano parallelamente al nostro anche in Italia; in Europa (nei Paesi Bassi e in Svezia) e negli States dove i mezzi per la ricerca sono sempre maggiori, tant’è che la nostra ricerca per la parte tecnica è stata proprio conseguita negli Stati Uniti”

Quando ha avuto inizio l’identificazione delle radici genetiche della S.L.A.?

“Il primo gene scoperto della S.L.A. risale al 1993-1994, un gene che oggi conosciamo abbastanza bene che si chiama Superossidodismutasi (“SOD 1”). Un anno fa è stato descritto un secondo gene della S.L.A., il “TDP 43”, e proprio verso la fine di febbraio è stato pubblicato il terzo gene della malattia che si chiama “FUS”

Lo studio di fattori ambientali è tra quelli maggiormente seguiti dai ricercatori?

“Sicuramente si, poiché la maggior parte dei casi di S.L.A. non familiare ipotizziamo che abbiano dei fattori ambientali. Purtroppo per tali fattori è difficile individuare degli agenti ambientali comuni fra tutti i pazienti che ovviamente possono interessare altri professionisti oltre ai calciatori e agli agricoltori. L’idea che oggi abbiamo è che molti fattori ambientali “influenzino” la S.L.A., o meglio, un certo numero di fattori ambientali interagiscano con i fattori genetici di suscettibilità”

A che punto è la ricerca sulle cellule staminali nella patologia del motoneurone?

“Anche in questo ambito si stanno facendo molte ricerche, soprattutto sul modello animale della malattia. Purtroppo i dati finora raccolti su tale modello non sono particolarmente soddisfacenti perché il miglior risultato finora ottenuto sul modello animale con le cellule staminali, è pari al miglior risultato con i farmaci e quindi abbastanza modesto. Tuttavia, questa strada è sicuramente da seguire perché evidentemente pensiamo che nel futuro ci possa dare dei buoni risultati”

Qual è il limite in questa patologia fra cura e accanimento terapeutico?

“Questa è una domanda molto “complessa” perché il limite, a mio parere, non lo pone il medico bensì il paziente il quale decide quando si raggiunge qualche cosa che è al di là di ciò che lui desidera; e questo per definizione è sicuramente accanimento terapeutico”

Quindi l’intesa è l’empatia fra medico e paziente?

“La malattia è rappresentata da un “gioco” continuo fra medico e paziente in cui si cerca insieme di capire quali sono le scelte migliori per ciascuna persona”

È etico sottoporre il paziente con S.L.A. a tracheotomia e ventilazione invasiva?

“È etico nel momento in cui il paziente lo ritiene opportuno. Noi abbiamo circa il 10-15% di pazienti che scelgono di sottoporsi a tracheotomia. Attualmente si assiste ad un cambiamento rispetto ad un tempo perché la possibilità di fornire a questi pazienti nuovi comunicatori con controllo oculare (il movimento degli occhi nei pazienti con S.L.A. rimane quasi sempre normale, ossia non alterato); quindi il paziente che arriva anche ad essere privo delle funzioni di movimento degli arti e della parola, oggi può comunicare con gli occhi proprio con l’ausilio di strumenti informatici”

Qual è al momento la terapia farmacologica?

“Attualmente abbiamo a disposizione un unico farmaco che si è dimostrato efficace (anche se debolmente) ed è il Riluzolo, un farmaco che agisce sul glutammato che è il neurotrasmettitore citatorio (verosimilmente alterato nella S.L.A.). Il farmaco rallenta il decorso della malattia nella misura del 10% ed è l’unico disponibile, ma nello stesso tempo di enorme importanza perché la sua scoperta ha rotto il nichilismo terapeutico: si può far qualcosa, e quindi ha indotto anche le aziende farmaceutiche ad investire su farmaci per la malattia”

Perché quando viene diagnosticata la S.L.A. i famigliari devono vivere il trauma burocratico per le autorizzazioni e soprattutto dell’ospedalizzazione domiciliare?

“Perché purtroppo il Sistema sanitario è basato su meccanismi burocratici. Il nostro Sistema sanitario è certamente di alto livello soprattutto in alcune Regioni, ma è anche un sistema per il quale si paga un enorme prezzo per la burocrazia…”

Osservando il concetto del Federalismo sanitario ci sono delle differenze di trattamento dei malati di S.L.A. tra una Regione e l’altra?

“Ci sono purtroppo delle differenze enormi che andrebbero superate. Basti pensare che mentre in Piemonte e in Lombardia un paziente sottoposto a nutrizione enterale riceve al proprio domicilio i relativi prodotti nutrizionali, in Campania e nel Lazio i familiari dei pazienti devono procurarseli direttamente, e in Calabria e in Sicilia non vengono nemmeno forniti… Davvero una differenza inaccettabile! A questo proposito il sottosegretario Ferruccio Fazio ha costituito una Consulta per le malattie neuromuscolari in fase avanzata, la quale ha come primo compito quello di valutare le differenze e preparare delle Linee guida nazionali da presentare alla Conferenza Stato-Regioni proprio al fine di eliminare queste sperequazioni. Quindi, il Federalismo è sicuramente importante ma deve includere una buona definizione di livelli minimi di assistenza a cui le Regioni devono essere obbligate”

Qual è la realtà piemontese?

“Nella Regione subalpina ci sono 400 pazienti con S.L.A. Tra gli obiettivi quello di creare un case manager, una figura che avrebbe il compito di guidare le famiglie e aiutarle a superare la burocrazia e attivare maggiormente gli opportuni Servizi”



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